Tutto nasce dal mio recente coinvolgimento in un progetto formativo in ambito retail. Lavorando con gli addetti alle vendite dei negozi entro nel loro mondo e mi accorgo di un sacco di cose.
Approfondisco (sono ficcanaso per natura). Mi rendo conto che la shopping experience è parente stretta della customer experience.
Capisco che è bene formare le persone ad essere più accoglienti, ad ascoltare, a gestire la relazione con il cliente; ma non basta.
Altrettanto importanti sono le procedure, i processi, le politiche interne aziendali: decidere come accettare un reso e gestire i turni del personale, quale divisa imporre loro, come fatturare, come incassare, come spedire.
Idem per gli aspetti fisici, concreti: lo specchio nel camerino, il volume della musica, il parcheggio, l'aria condizionata, la disponibilità di calzini usa e getta per la prova delle scarpe.
La customer experience è fatta di tre cose: persone, processi, cose. Perchè la customer experience di Zara (nella foto) è diversa da quella di Abercrombie?
La customer experience è definita dal viaggio che il cliente compie (customer journey) attraverso i vari punti di contatto (touchpoints): il negozio, il sito, il call center, il fattorino che consegna, il tecnico che installa.
Era da un po' che questo tema mi ronzava in testa. A settembre ho letto un articolo sulla Harvard Business Review. Ho ascoltato un podcast del Forrester Group. Ho letto un sacco di libri su customer care, customer service, mystery shopping. Fino all'illuminazione che mi ha portato ad aprire questo portale: Outside In, libro scritto da due consulenti del Forrester Group (l'ho letto sul kindle, la bibliofila in me un po' se ne vergogna).
Mi si è accesa una lampadina: è qui che si gioca la competitività del futuro.
Per migliorare la customer experience bisogna mettersi nei panni del cliente. Con umiltà e senza credere di sapere tutto.
Approfondisco (sono ficcanaso per natura). Mi rendo conto che la shopping experience è parente stretta della customer experience.
Capisco che è bene formare le persone ad essere più accoglienti, ad ascoltare, a gestire la relazione con il cliente; ma non basta.
Altrettanto importanti sono le procedure, i processi, le politiche interne aziendali: decidere come accettare un reso e gestire i turni del personale, quale divisa imporre loro, come fatturare, come incassare, come spedire.
Idem per gli aspetti fisici, concreti: lo specchio nel camerino, il volume della musica, il parcheggio, l'aria condizionata, la disponibilità di calzini usa e getta per la prova delle scarpe.
La customer experience è fatta di tre cose: persone, processi, cose. Perchè la customer experience di Zara (nella foto) è diversa da quella di Abercrombie?
La customer experience è definita dal viaggio che il cliente compie (customer journey) attraverso i vari punti di contatto (touchpoints): il negozio, il sito, il call center, il fattorino che consegna, il tecnico che installa.
Era da un po' che questo tema mi ronzava in testa. A settembre ho letto un articolo sulla Harvard Business Review. Ho ascoltato un podcast del Forrester Group. Ho letto un sacco di libri su customer care, customer service, mystery shopping. Fino all'illuminazione che mi ha portato ad aprire questo portale: Outside In, libro scritto da due consulenti del Forrester Group (l'ho letto sul kindle, la bibliofila in me un po' se ne vergogna).
Mi si è accesa una lampadina: è qui che si gioca la competitività del futuro.
Per migliorare la customer experience bisogna mettersi nei panni del cliente. Con umiltà e senza credere di sapere tutto.